Basta! Basta! Basta!

Un premier collezionista di processi, guerriglia tra le istituzioni, governo immobile sulla crisi sociale. Basta! Basta! Basta!

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06-02-2011

Nel gran calderone bollente della scena politica sta davvero succedendo di tutto. Per esempio, che coloro che furono i più accaniti sostenitori delle elezioni subito per bloccare l’avventura giudiziaria di B. ora gridano che le elezioni sarebbero un danno per il Paese e, dunque, si continui così. L’una e l’altra posizione muovono da un’identica preoccupazione: condurre una guerra senza quartiere contro la Giustizia, stordire propagandisticamente l’opinione pubblica, esaltare il vittimismo del cavaliere creandogli attorno una mitologia salvifica. Ma la conversione berlusconiana alla continuità assume il significato di una confessione di paura. Non può che essere interpretato così il gesto di B. di chiedere un’alleanza a Bersani per uscire dalla crisi economica. Una delle due: o la crisi non c’è, come da tutti i pulpiti ha proclamato il cavaliere, o invece c’è come emerge dall’appello al segretario Pd e non può che essere addebitata all’immobilismo demagogico del governo E allora la palla sta passando al campo dell’opposizione: non solo al pur cauto Terzo polo e a Di Pietro, ma a un esponente politico-istituzionale come D’Alema che lancia la sfida del ricorso alle urne come passaggio a una fase riformatrice di ricostruzione democratica: prima salvare la limpidezza operativa delle Istituzioni in contemporanea con un piano d’urgenza per il rilancio produttivo ad opera di un blocco di forze costituzionali, poi riavviare una normale fase di dialettica politica e programmatica. Idea accolta con prudenza dall’UDC ma non dalla finiana Fli.
La proposta del blocco di salvezza costituzionale sposta in avanti il terreno dello scontro ma abbisogna di un punto di chiarezza: chi ne potrà far parte e a quali condizioni? Deve risultare chiaro che non si tratta di un’alleanza “ordinaria”, cioè fatta tra forze omogenee, ma, appunto, di uno schieramento repubblicano – quale ne siano le componenti ideologiche – volto a chiudere la fase disastrosa del berlusconismo. Poi la dialettica politica potrà riprendere la sua normalità. L’esemplificazione giusta è quella indicata da Casini: fare come fece la Germania con la “Grande coalizione” Popolari-SPD. Spetta a tutte le opposizioni dire chiaramente se accettano questa idea e al PD prenderne esplicitamente la testa.
Punto di partenza per ciascuna forza anti-berlusconiana è la percezione esatta e drammatica della condizione del Paese che vede bloccata la minimaggioranza in Parlamento (314 voti erano il 14 dicembre e tali restano ancora nonostante i mille preannunci di allargamento) il che mina la possibilità di una reale opera di governo a fronte di una condizione economica, sociale e morale della comunità nazionale che scandalizza il mondo ed è pagata tristemente dalla vita di milioni di italiani. Un autorevole sociologo è andato in TV per ricordarci che l’organismo dell’ONU impegnato nella rilevazione della salute d’ogni Paese ha fissato la “soglia di allarme sociale” (cioè di un rischio di disfacimento civico) al 40% della popolazione in stato di povertà e d’insicurezza vitale. Lo stesso organismo ha valutato che l’Italia si colloca al 35%, in sostanza alla vigilia di un possibile disastro. Dunque, questa soglia va assolutamente e rapidamente allontanata. La domanda è: si può ottenere questo risultato affidandone la guida a questo governo? No, non si può. E quanti, nonostante tutto, pensano che si debba comunque salvare il blocco Berlusconi-Bossi, diano un’occhiata a quel che sta succedendo sulla sponda sud del Mediterraneo in queste settimane. Il direttore del britannico “Economist”, Bill Emmot, ha paragonato Berlusconi a Mubarak (sì, proprio lui, che B. aveva indicato come nonno o zio di Karima detta Ruby)
Questo non è “artificioso allarmismo” come dicono Tg1 e Tg5. E’ il prudente ammonimento a non scherzare col fuoco. E scherza col fuoco chi resta impassibile dinanzi all’inedita guerra tra istituzioni dello Stato: presidenza del Senato contro presidenza della Camera, presidenza del Consiglio contro il potere giudiziario (B. aveva invocato la piazza contro i magistrati, poi ha dovuto fare marcia indietro anche perché c’è qualcuno al Quirinale che non intende essere passivo di fronte al collasso delle istituzioni democratiche). Il nesso fra bagarre istituzionale e crisi di sviluppo e di giustizia sociale è indissolubile. Va spezzato. Altrimenti non cesserà il grande turbamento della gente che oggi volta le spalle alla politica, riduce drasticamente la fiducia nelle istituzioni salvando solo la presidenza della Repubblica, fa precipitare il consenso a B. ma non premia l’opposizione in attesa che essa sappia davvero incardinare la risposta decisiva, quale appunto potrebbe essere quella delle parole di D’Alema e Casini.
D’altro canto è impossibile espungere dalla crisi lo spettacolo di un presidente del Consiglio il cui comportamento passato e recente grida allo scandalo. E’ nelle cronache il fatto che i PM milanesi hanno rimesso le carte dell’indagine su prostituzione minorile e concussione al Gip per decidere il processo immediato; è nelle cronache il calendario dei due processi, finora frenati dagli interventi protettivi di Alfano, sul caso di corruzione giudiziaria Mills e sugli illeciti Mediaset previsto per il 28 febbraio. Può un uomo così coinvolto giudiziariamente e così impegnato in una guerra senza quartiere contro il terzo Potere dello Stato guidare un paese in sofferenza, ridare fiducia a istituzioni e politica, realizzare riforme tanto promesse quanto oscure e immobili? Può l’alleato decisivo in ciò che residua della maggioranza, la Lega, attendere all’infinito il sognato risultato del federalismo pur di tenere in piedi l’attuale leadership? No!, e intanto le piazze si riempiono della protesta dei soggetti offesi (operai, donne, giovani, giudici e financo poliziotti) e centinaia di migliaia di italiani ogni giorno frequentano i gazebo democratici per firmare la loro perentoria richiesta patriottica: Berlusconi, dimettiti!

 

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